Wow.

Se dobbiamo ricordare una persona che, per lungimiranza, competenza, sentimento, professionalità ha forse più di ogni altro italiano cercato di “urlare in silenzio” la strada che stavamo iniziando a percorrere – e soprattutto dove ci avrebbe portato – questo è Aurelio Peccei.

Aurelio Peccei nasce a Torino il 4 luglio del 1908, dove si laurea nel 1930 e successivamente si perfeziona alla Sorbona di Parigi.

Inizia a lavorare per la Fiat ma fu da subito un convinto antifascista, tant’è che nel 1944 fu arrestato e torturato fino alla fortunata scarcerazione.

Si trasferisce in Argentina per conto della Fiat e dopo diverse attività imprenditoriali approda in Olivetti e, grazie alla sua direzione, ritrova il perduto vigore con il lancio del “programma 101”, il progenitore del Personal Computer.

Ma Aurelio Peccei dobbiamo ricordarlo soprattutto per la fondazione di una importantissima associazione senza scopo di lucro, non governativa e non profit: il CLUB DI ROMA.

Di questa Associazione fanno e possono far parte scienziati, economisti, dirigenti, attivisti di diritti civili e capi di stato di tutti i continenti.

La sua missione principale è individuare i problemi più complessi che l’umanita si troverà ad affrontare in un futuro relativamete breve, analizzandoli in senso globale e fungendo da catalizzatore dei cambiamenti globali

Era il 1972 quando, su incarico del Club di Roma, un gruppo di studiosi dell’ MIT, viene pubblicato I LIMITI DELLO SVILUPPO, forse la più grande opportunità che l’uomo abbiamo mai avuto per conoscere il suo destino.

Questo lavoro, basato su simulazioni effettuate con i primi elaboratori elettronici, preconizzava gli effetti della crescita della popolazione, dei consumi, e dell’inquinamento su un pianeta limitato per definizione.

Andamenti economici e demografici, fonti di energia, cibo e impatto sulla biodiversità, sviluppi culturali e tecnologici, geopolitica, riserve di minerali e soprattutto cambiamenti climatici: nessun settore è stato escluso.

Le previsioni riguardavano principalmente l’esaurimento delle risorse nel periodo relativo al primo ventennio del XXI secolo ma il superamento della crisi petrolifera venne preso come esempio per mettere in discussione la ricerca, per non dire sbeffeggiarla, tant’è che spesso veniva considerata una sorta di leggenda metropolitana.

Dopo decenni di critiche, ormai si concorda quasi unanimante che quelle previsioni erano corrette, tant’è che Jorgen Randers, nel 2012, uno dei coautori dei “limiti dello sviluppo”, servendosi di una quantità impressionante di dati e con l’utilizzo dei più moderni supercomputer, ha confermato il futuro globale previsto.

Ma perchè la gente non crede e non ha creduto ad una ricerca così puntuale?

C’è da dire che all’epoca della sua realizzazione era comunque una “previsione”, un modello che si basava su solide fondamenta ma che poteva rivelarsi fallace, come spesso accade per le previsioni meteo, figurarsi un lavoro che prevedeva eventi che si sarebbero realizzati in un lasso di tempo abbastanza ampio.

Oltre a ciò, va tenuto conto di un concetto fondamentale: il paradigma di partenza nella comprensione di ogni cosa che ci circonda.

Ognuno di noi ha un “paradigma” diverso di valutazione, una propria visione del mondo, una propria chiave di lettura, che permette di semplificare gli input che provengono da varie fonti e che conducono ad una soluzione di giudizio.

Definire questo “paradigma” è meno importante che riconoscerne l’esistenza.

Spesso è invisibile, potremmo definirlo come una sorta di substrato di coscienza e incoscenza che permea il nostro personalissimo IO, quasi una “summa” dei nostri pensieri e della nostra personalità.

Potremmo definirlo un “tacito” sistema di principi, convinzioni ed idee che si sono cristallizzate dentro di noi e ci portano a fare questa o un’altra valutazione.

Non esiste un atteggiamento giusto o sbagliato nel valutare il mondo, in linea di principio.

Importante è prendere consapevolezza della sua esistenza e dell’enorme impatto che esso ha su di noi, sulle nostre scelte e sul modo di osservare il mondo.

E di giudicarlo.

Facciamo un esempio chiarificatore, peraltro già utilizzato da più autori: il paradigma macroeconomico convenzionale assume che i mercati siano in equilibrio; pertanto, la maggior parte delle persone da per scontato che il mondo sia in equilibrio per definizione.

Chi riesce ad estraniarsi da questo paradigma entra nel mondo delle dinamiche di sistema e si accorge che il mondo non è in equilibrio, ma è alla continua ricerca di questo equilibrio, che si sposta di continuo, tra una fluttuazione e l’altra delle relative curve.

Quante volte sentite parlare di “economie di mercato”? O dell’aumento del welfare mediante il commercio libero e la globalizzazione?

Ecco, nel valutare le informazioni, qualsiasi informazione, bisogna anzitutto prendere consapevolezza dell’esistenza di questo personalissimo paradigma.

E di considerare la possibilità di metterlo in discussione.

Potremmo accorgerci di vedere il mondo con altri occhi.

Di Antonio Bernabei

Laureato in Giurisprudenza, si specializza in Knowledge management nel campo dell'economia e dell'informazione. Sta sviluppando un modello di analisi nel campo dell' Io Digitale per la gestione, raccolta ed utilizzo dei dati come patrimonio individuale. Si occupa di raccogliere dati sull'informazione scientifica legata al mondo dell'alimentazione biologica e cambiamento climatico.

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