Dovrebbero dirlo al telegiornale
La Siberia brucia: oltre 4 milioni gli ettari della Grande foresta del Nord sono in fiamme a causa degli incendi che stanno colpendo le coste del mar Glaciale Artico, in Groenlandia, Russia, Canada e Alaska, una delle aree più a rischio per il nostro pianeta.
Giusto per dare un’idea dell’area interessata stiamo parlando di circa 30 mila chilometri quadrati (l’intero Belgio è ampio 30.688 mila chilometri), con il fumo che arriva fino in Mongolia.
Anche secondo il capo del servizio meteorologico russo Maxim Yakovenko il disastro sarebbe legato ai cambiamenti climatici che hanno innalzato le temperature a livelli record, come spesso i meterologi hanno rilevato e messo in allarme: in diverse località artiche si sono infatti registrati oltre 30°C che, uniti ai forti venti, hanno alimentato le fiamme.
“Durante gli ultimi sei o sette anni abbiamo registrato annualmente che il numero di fenomeni pericolosi è cresciuto da due a mezzo o tre volte rispetto ai decenni precedenti“, ha detto Yakovenko, spiegando che si è passati dai circa 100-150 fenomeni naturali pericolosi annui registrati tra il 1980 e il 1990, ai 450-500 attuali.
Dati raccolti dall’istituto meteorologico danese indicherebbero che tra mercoledì e giovedì della settimana scorsa si è verificato il picco in singole giornate di scioglimento del ghiaccio groenlandese.
Questa settimana la temperatura rilevata sull’isola è stata di 10 gradi centigradi superiore alla media stagionale e a 3200 metri sul livello del mare si sono registrate temperature appena sotto il livello di congelamento!
Sono dati davvero allarmanti
Qundici giorni fa a Laksfors, nella contea norvegese settentrionale del Nordland, si sono registrati 35,6 gradi, una temperatura che lì ha un solo precedente risalente al 1970. Nella città di Bergen invece è stato stabilito il record assoluto con 33,3 gradi venerdì 26 luglio.
Secondo alcuni meteorologi, temperature estive al di sopra dei 30 gradi potrebbero essere il “new normal” della Scandinavia in estate. Nell’Artico canadese, dove pure si sono accesi diversi focolai di incendi, e liquefa il permafrost, è stato registrato il mese scorso ad Alert, nel Nanavut sotto il Circolo polare artico, un picco di 21 gradi, la temperatura più alta mai rilevata a quella distanza dal Polo Nord.
Non va meglio sui ghiacciai alpini: in Svizzera, secondo alcune stime, nelle due ondate di calore di questa estate tra giugno e fine luglio sono andate perse 0,8 miliardi di tonnellate di ghiaccio e neve.
Groenlandia e Artico: in base a questi rilevamenti il 2019 è già uno dei singoli anni di maggiore scioglimento mai registrato seppure si spera che non raggiunga il record del 2012.
Secondo uno studio della National Academy of Sciences, pubblicato in gennaio su Proceedings of the National Academy of Sciences, i ghiacci della Groenlandia si stanno sciogliendo quattro volte più velocemente rispetto al 2002-2003, quando era stata osservata una pronunciata accelerazione del tasso di scioglimento.
Spesso abbiamo parlato del delicato ecosistema della Groenlandia sottolineando la differenza con la calotta sulla superfice dell’Artico che poggia già in mare, mentre il ghiaccio groenlandese poggia su terra: il rischio è rappresentato dall’impatto che lo scioglimento del ghiaccio dell’isola può avere sull’innalzamento del livello dei mari.
C’è anche da dire che forse sono stati sottovaluati i primi focolai, tant’è che si stanno svolgendo manifestazioni di protesta contro il Governatore della Regione Alexandr Uss che aveva affermato all’inizio della crisi che “…combattere gli incendi non è redditizio“.
E il loro numero crescerà nel prossimo futuro. “Gli incendi nel circolo polare – denuncia inoltre Greenpeace Italia – sono estremamente pericolosi per il clima perché producono ‘Black carbon’, particelle nere che finiscono nell’Artico e accelerano lo scioglimento dei ghiacci e il riscaldamento globale”.
Dall’inizio degli incendi, fino ad oggi, sarebbero circa 100 milioni le tonnellate di anidride carbonica diffuse nel delicato ecosistema di quelle latitudini, con gravi rischi per la flora e la fauna di quelle aree.
Ma ci sono anche numerosi effetti collaterali, quelli a cui nessuno (a parte molti climatologi) pensa…vi facciamo un esempio.
A Camp Century è una base militare scientifica costruita nel 1959, nel bel mezzo della Guerra Fredda, proprio sotto la calotta della Groenlandia nord-orientale.
Con lo scioglimento dei ghiacciai sta “riesumando” questo bel residuato bellico con i suoi rifiuti tossici, visto che è alimentata ad energia nucleare e nella quale sono stivati 200mila litri di nafta, 240mila litri di scarichi e acqua contaminata, policlorobifenili e una quantità ignota di refrigerante radioattivo proveniente dal sito del generatore nucleare, almeno secondo uno studio pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters.
Se andate a leggere la storia di questa struttura c’è da rabbrividire: al suo interno vivevano circa 200 soldati chiamati “iceworm” perchè vivevano letteralmente scavando nel ghiaccio
La base fu abbandonata nel ’67 e con essa il materiale che si pensava sarebbe stato sepolto dalle abbondanti nevicate trasformandosi in una tomba di ghiaccio perenne. E così fu sottoscritto negli accordi tra gli Stati Uniti e la Danimarca, di cui allora l’isola era una provincia.
Oggi, pur sotto la formale sovranità danese, la Groenlandia ha un governo autonomo concesso nel ’79. Peraltro col referendum dell’82, la Groenlandia si è chiamata fuori dall’Unione europea (allora Cee).
Cosa accadrà a queste scorie?
Chi se ne occuperà?